50 anni di codice a barre, così ha cambiato i nostri acquisti.
E ora evolve con i Qr code 2D.

Il codice a barre ha rivoluzionato la gestione delle transazioni commerciali, velocizzando code e pagamenti dei clienti alle casse dei supermercati e migliorando i passaggi operativi e logistici della filiera a favore di produttori e distributori. Sono passati 50 anni da questa invenzione, che si è evoluta nel corso del tempo e che continua a innovarsi.

Nata come una tecnologia analogica e monodimensionale, oggi infatti è anche digitale e bidimensionale: i nuovi codici possono contenere una quantità maggiore di dati affidabili rispetto al passato, garantendo alle aziende e ai consumatori un livello di trasparenza superiore. Ad esempio, l’impronta ambientale di un prodotto, le sue modalità di riciclo, o ancora, la sua provenienza e la certificazione biologica sono tutte informazioni che si possono ottenere accedendo a un indirizzo web con la semplice scansione di un codice Qr attraverso lo smartphone: un processo rapido e semplice, che consente all’utente di fare scelte d’acquisto più consapevoli.

“Stiamo avviando una transizione globale dai codici a barre tradizionali ai codici a barre di nuova generazione per fornire maggiori e migliori informazioni sui prodotti e per massimizzare la potenza dei dati utili a prendere decisioni ponderate ed efficienti”, sottolinea Bruno Aceto, ceo di GS1 Italy, il ramo italiano di quell’organizzazione no profit che ha amministrato, fin dal lancio, lo standard unico per l’identificazione dei prodotti: il codice a barre GS1 è nato negli Stati Uniti il 3 aprile del 1973 (allora si chiamava Upc) e ha costituito una sorta di linguaggio comune e globale per le imprese, che sono state così in grado di riconoscere immediatamente i prodotti lungo la supply chain. Una tecnologia che ha contribuito a rendere moderna l’economia secondo la BBC.

Oggi questo codice è presente su circa un miliardo di prodotti ed è adottato da oltre due milioni di imprese per identificare e accompagnare le merci in tutto il pianeta, permettendone la tracciabilità, condividendone le informazioni e riducendo così errori e problemi lungo la filiera. In Italia, in particolare, nei supermercati, ipermercati e punti vendita a libero servizio, ogni anno vengono venduti circa 350 mila prodotti di largo consumo confezionato con codice a barre GS1 (senza contare i prodotti a peso variabile e il non food) che passano in cassa 30,2 miliardi di volte, generando 2,7 miliardi di scontrini.

 

Le origini

Il codice a barre, che celebra oggi il suo 50° anniversario, nasce dall’esigenza di alcune grandi aziende di beni di largo consumo negli Stati Uniti di dotarsi di un unico standard di identificazione dei prodotti. Dopo quattro anni di lavoro e di test, il 3 aprile del 1973 nasce lo Upc – Universal Product Code, amministrato dall’associazione Ucc (Uniform code council), e il 24 giugno del 1974 questo codice a barre passa per la prima volta dalla cassa di un negozio, con la vendita di una confezione di chewing-gum Wrigley’s al gusto juicy fruit in un supermercato Marsh nella città di Troy, in Ohio, al costo di 0,61 cent.

Ma l’idea risale alla fine degli Anni ’40: sono stati Bernard Silver e Norman Joseph Woodland, due studenti di ingegneria dell’Università di Drexel, a concepirla dopo la richiesta di un direttore di un supermercato di un sistema che permettesse il riconoscimento immediato e automatico dei prodotti alle casse. Abbandonata la sperimentazione di un disegno a cerchi concentrici, la grafica scelta per il barcode fu il sistema lineare delle barre.

L’invenzione sbarca poi sull’altra sponda dell’Atlantico e viene fondata a Bruxelles la European Article Numbering (Ean) Association, l’organizzazione internazionale di standard senza scopo di lucro: aderiscono 12 Paesi europei, fra cui l’Italia. Il codice a barre Ean è pienamente compatibile con il codice a barre Upc presente negli Stati Uniti. E nella Penisola, ad occuparsi della diffusione del barcode dal 1978 è l’associazione Indicod: oggi si chiama GS1 Italy e si prepara a tagliare il traguardo dei 45 anni di attività. Nel 1993 è istituita poi Ecr Italia, l’associazione che raggruppa le principali aziende di marca e della distribuzione moderna, con la finalità di innovare i processi per migliorare l’efficienza di filiera.

In seguito, Ucc ed Ean si fondono in un’unica organizzazione internazionale formata dalle organizzazioni GS1 locali. Inoltre GS1 si espande in diversi settori. In quello sanitario, introducendo standard per migliorare l’identificazione e la tracciabilità dei prodotti relativi, aumentando così anche la sicurezza dei pazienti. In particolare, nel 2013 riceve l’accreditamento dalla Food & Drug Administration (Fda) degli Stati Uniti come issuing agency per gli unique device identifier (Udi) utilizzati per identificare in modo univoco a livello globale i dispositivi medici. E poi ancora nel 2018 in quello finanziario, come emittente accreditato di Legal Entity Identifiers (Lei), i codici che identificano in modo univoco le aziende che partecipano a transazioni finanziarie.

La diffusione del codice a barre procede di pari passo con la sua evoluzione tecnologica: nel 1999 vengono approvate le specifiche per il GS1 DataBar, codici di dimensioni ridotte che permettono di identificare articoli più piccoli, come gioielli e alimenti freschi, contenendo più informazioni rispetto ai barcode tradizionali. E nel 2014 GS1 Italy introduce anche Immagino, il servizio web che permette di produrre in maniera efficiente immagini di alta qualità per grandi volumi di referenze e di digitalizzare tutte le informazioni presenti in etichetta.

I codici a barre di nuova generazione

Entro il 2027 si prevede un altro grande cambiamento nel mondo del retail: l’adozione dei codici 2D. Sono i codici bidimensionali, che permettono di avere accesso a un maggior numero di informazioni rispetto all’attuale codice a barre lineare: questi nuovi codici raccontano la ‘storia’ e tutti i dettagli di un articolo, contenendo, ad esempio, la data di scadenza, il numero di lotto e di serie, ma anche link per collegamenti a pagine web con informazioni su ingredienti e allergeni.

“Dobbiamo replicare la visione ambiziosa dei leader che nel 1973 si unirono per il bene comune. Se passiamo tutti a una nuova generazione di codici a barre standard GS1, metteremo la tecnologia al servizio di un commercio più efficiente, di acquisti più sostenibili da parte dei consumatori e della sicurezza dei pazienti”, fa notare Francesco Pugliese, presidente di GS1 Italy.

Più nel dettaglio, tra questi strumenti di nuova generazione ci sono il GS1 Data Matrix e il GS1 digital link. Il primo può essere utilizzato quando bisogna trasferire numerose informazioni ma si ha a disposizione uno spazio ridotto oppure se si vuole identificare l’oggetto con una marcatura diretta su di esso, quindi senza l’impiego di un’etichetta: questo tipo di codice è diffuso nel comparto sanitario ed healthcare.

L’altro invece è un indirizzo web con una struttura standard, che permette ai clienti ma anche alle aziende partner di accedere al set completo di informazioni di un prodotto: il collegamento a internet infatti è la porta d’accesso a tutti i dati di servizio e di marketing di un articolo, come fattori nutrizionali, tracciabilità, etichetta ambientale, e ancora qualità ingredienti e sostenibilità. L’utilizzo del GS1 digital link è semplice e intuitivo: il consumatore può scansionare il Qr code che lo contiene per consultare le informazioni relative al prodotto, tra cui anche valutazioni degli altri utenti, contenuti social relativi, garanzie e istruzioni per risolvere problemi. In fase di acquisto, i clienti possono anche raccogliere punti fedeltà e condividere le loro preferenze con gli amici.

Questa tecnologia, inoltre, ha anche applicazioni sul piano della sostenibilità: fornendo informazioni sulla data di scadenza del prodotto e sulle sue condizioni di riciclabilità, può abilitare promozioni e incentivi per favorire comportamenti più responsabili, contribuendo alla riduzione degli sprechi e alla promozione dell’economia circolare. In più, offre dei benefici anche in termini di tracciabilità, perché aiuta i retailer a localizzare i prodotti in modo rapido e a rimuoverli dagli scaffali qualora ci fossero allerte alimentari o di sicurezza.

Il GS1 Digital Link funziona anche con altre tipologie di data carrier, come barcode monodimensionali e bidimensionali (GS1 Data Matrix), il Tag RFID (GS1 Epc), vale a dire la tecnologia che sfrutta la radiofrequenza per identificare gli oggetti, e infine le tecnologie Nfc, e consente di inviare informazioni sugli sconti e sui prezzi mentre il cliente è ancora all’interno del negozio o di coinvolgerlo in altre iniziative di fidelizzazione.

di Marco Cimminella

Fonte: LA REPUBBLICA

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